"Chi fa un viaggio rischia di arrivare; è accaduto ad Ulisse, accade anche a Pinocchio. Dopo fatiche e metamorfosi, egli è ammesso alla definitiva iniziazione alla condizione umana." Scrive così a proposito di Pinocchio Giorgio Manganelli...e di un viaggio si tratta anche per me. La partenza è appunto il libro di Collodi, regalatomi da un amico di famiglia. Avevo tre o quattro anni e quello era il primo libro vero che possedevo. Su questo libro ho imparato a leggere, attirato dalle immagini, chiedendo a mia madre la trasformazione di quei segni scritti in parole, e ho iniziato a disegnare, ricopiandone le illustrazioni. Poi la storia, che mi intrigava e mi faceva paura al tempo stesso, della quale percepivo inconsciamente (l'ho capito dopo) qualcosa di freudiano prima di Freud (tanto che mi sognavo nel ventre della balena). E di viaggio, appunto, anche per me si tratta, della paura di diventar grandi, della tristezza di quel finale che, dopo le ribellioni della gioventù, porta a quel burattino inanimato, con le braccia ciondoloni e la testa reclinata che Pinocchio osserva nel finale dopo esser diventato un ragazzino "perbene". Scrive Carmelo Bene: "L'essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte. L'essermi alla fine liberato anche di me."
Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna, Longanesi, Milano, 1983.
Le mie tavole su Pinocchio, sono il tentativo di disegnare il Pinocchio di quando ero bambino, con quelle paure e quell'immaginario: i conigli neri son vestiti come i volontari della Misericordia fiorentina, che così incappucciati tanto mi impressionavano, il pescecane ha i dentoni come quelli visti quando mi avevan portato al parco di Collodi. Sono la restituzione di un debito verso Carlo Lorenzini e verso mia madre, senza i quali probabilmente non sarei vissuto disegnando.
Pinocchio impiccato, china su carta.
"Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino. — Che nome gli metterò? — disse fra sé e sé. — Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina."
"Bada, Grillaccio del mal’augurio!... se mi monta la bizza, guai a te!... — Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!... — Perché ti faccio compassione? — Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno. — A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante."
"Tornò a casa bagnato come un pulcino e rifinito dalla stanchezza e dalla fame: e perché non aveva più forza da reggersi ritto, si pose a sedere, appoggiando i piedi fradici e impillaccherati sopra un caldano pieno di brace accesa. E lì si addormentò; e nel dormire, i piedi che erano di legno gli presero fuoco, e adagio adagio gli si carbonizzarono e diventarono cenere. E Pinocchio seguitava a dormire e a russare, e, come se i suoi piedi fossero quelli d’un altro."
"Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra: basta dire che, quando camminava, se la pestava coi piedi. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro; e con le mani schioccava una grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme. All’apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno fiatò più."
"Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato! La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto. Dopo la lepre, si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca. Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliuolo, col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli, aveva preso un’indigestione anticipata di monete d’oro."
"Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle, e, passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai. Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando: — Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell’e morto e con la bocca spalancata." 
"Vorrei sapere da lor signori — disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio — vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia vivo o morto!..."
"A questo punto, la porta della camera si spalancò, ed entrarono dentro quattro conigli neri come l’inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto. — Che cosa volete da me? — gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto. — Siamo venuti a prenderti — rispose il coniglio più grosso. — A prendermi?... Ma io non sono ancora morto!... — Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito della febbre!... — O Fata mia, o Fata mia!"
"Nel tempo che diceva così, si fermò tutt’a un tratto spaventato, e fece quattro passi indietro. Che cosa aveva veduto? Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntata, che gli fumava come una cappa di camino." 
"Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi m’è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia. — Detto fatto, gl’infilò al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni di ottone, e glielo strinse in modo, da non poterselo levare passandoci la testa di dentro."
"Egli è... — rispose balbettando Pinocchio — egli è... egli è..., che voi mi somigliate... voi mi rammentate... sì, sì, sì, la stessa voce... gli stessi occhi... gli stessi capelli... sì, sì, sì... anche voi avete i capelli turchini... come lei!... O Fatina mia!... o Fatina mia!... ditemi che siete voi, proprio voi!... Non mi fate più piangere! Se sapeste! Ho pianto tanto, ho patito tanto!... — E nel dir così, Pinocchio piangeva dirottamente, e gettatosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa.“
"Altro che male! — disse uno dei carabinieri, chinandosi e osservando Eugenio da vicino. — Questo ragazzo è stato ferito in una tempia: chi è che l’ha ferito? — Io no! — balbettò il burattino che non aveva più fiato in corpo. — Se non sei stato tu, chi è stato dunque che l’ha ferito? — Io no! — ripeté Pinocchio. — E con che cosa è stato ferito? — Con questo libro. — E il burattino raccattò di terra il Trattato di Aritmetica, rilegato in cartone e cartapecora, per mostrarlo al carabiniere. — E questo libro di chi è? — Mio. — Basta così: non occorre altro. Rizzati subito, e vien via con noi."
"Gli pareva di sognare, e che brutto sogno! Era fuori di sé. I suoi occhi vedevano tutto doppio: le gambe gli tremavano: la lingua gli era rimasta attaccata al palato e non poteva più spiccicare una sola parola. Eppure, in mezzo a quella specie di stupidità e di rintontimento, una spina acutissima gli bucava il cuore: il pensiero, cioè, di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata, in mezzo ai carabinieri. Avrebbe preferito piuttosto di morire."
"Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora si aprì una finestra dell’ultimo piano (la casa era di quattro piani) e Pinocchio vide affacciarsi una grossa lumaca, che aveva un lumicino acceso sul capo, la quale disse: — Chi è a quest’ora? — La Fata è in casa? — domandò il burattino. — La Fata dorme e non vuol essere svegliata: ma tu chi sei? — Sono io! — Chi io? — Pinocchio. — Chi Pinocchio? — Il burattino, quello che sta in casa colla Fata."
"Pinocchio obbedì senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina, sul far dell’alba, arrivarono felicemente nel «Paese dei balocchi». Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli da per tutto: chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede..."
Quella sera, come potete figurarvelo, un’ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato. Non si trovava più né una poltrona, né un posto distinto, né un palco, nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età, che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.
"Ma oramai era tardi! Il mostro lo aveva raggiunto. Il mostro, tirando il fiato a sé, si bevve il povero burattino, come avrebbe bevuto un uovo di gallina, e lo inghiottì con tanta violenza e con tanta avidità, che Pinocchio, cascando giù in corpo al Pesce-cane, batté un colpo così screanzato da restarne sbalordito per un quarto d’ora."
"E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto: finché, cammina cammina, alla fine arrivò: e quando fu arrivato... che cosa trovò? Ve lo do a indovinare in mille: trovò una piccola tavola apparecchiata, con sopra una candela accesa infilata in una bottiglia di cristallo verde, e seduto a tavola un vecchiettino tutto bianco, come se fosse di neve o di panna montata, il quale se ne stava lì biascicando alcuni pesciolini vivi, ma tanto vivi, che alle volte mentre li mangiava, gli scappavano perfino di bocca."
MOSTRA 18 TAVOLE PINOCCHIO, Museo di Pinocchio, Collodi, aprile 2012.
Sono andato a portare Pinocchio a casa sua, mostra 18 tavole di Pinocchio, Collodi, aprile 2012.
Omaggio a  Pinocchio, latta per cioccolato in tazza La Molina.
Omaggio a Pinocchio, le tavolette illustrate. (foto Simone Parri)
LE TAVOLETTE ILLUSTRATE, sul davanti o sul retro, comunque le si accostino, compongono una storia infinita. (foto Simone Parri).
Album di Pinocchio da colorare.
I CANTUCCI DELLA BALENA, cubo/balena per biscotti. (foto Simone Parri).
Confetture (foto Simone Parri).
Espositore per tavolette da 40g omaggio a Pinocchio, 2014 (foto Simone Parri).
La scatola di Pinocchio, con disegni da colorare sia all'esterno che all'interno.
Astuccio con personaggi di Pinocchio. (foto Simone Parri).
Poster 70x100 cm Pinocchio alla Barcolana, Trieste, 2013-
L'ACQUA DI PINOCCHIO, 2011, fontana in corten, Fattoria di Celle, Santomato, Pistoia
Ho pensato a questa fontana come a due pagine aperte di un libro; la testa di Pinocchio ritagliata e piegata nel corten, lascia il vuoto del cappello nel quale si può osservare la Fattoria da lontano.
L'omaggio a Pinocchio alla Biblioteca Fabroniana di Pistoia in occasione della conferenza "Cultura alimentare in Toscana: tavole nobili e pietanze quotidiane", 2015.

Alcune delle mie tavole su Pinocchio, felice di esporle assieme alle grafiche di Sigfrido Bartolini, sicuramente uno dei più grandi illustratori di Pinocchio.
LE FIABE
Quando il filtro e la sortiera
preparavano gl'incanti
(ascoltate tutti quanti!)
c'era, allora, c'era...c'era...
Guido Gozzano, La lepre d'argento, da La danza degli gnomi e altre fiabe, per il "Corriere dei Piccoli", 1911.
CAPPUCCETTO ROSSO
IL GATTO CON GLI STIVALI
IL BRUTTO ANATROCCOLO
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